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Data di pubblicazione:28/09/2004
Fonte:La Stampa edizione di Cuneo
Titolo dell’articolo:«Deragliato non per colpa mia». È tornato a casa il macchinista rimasto ferito
Testo dell’articolo:CUNEO
«Ricordo il segnale verde. Lo erano tutti e due i semafori. Mi sono comportato come avrebbe fatto qualunque macchinista, vedendo il doppio verde. Ho la coscienza tranquilla». A due settimane dalla tragedia a Madonna dell’Olmo, Pietro Noto, il macchinista del treno 4441, deragliato a pochi chilometri dalla Stazione di Cuneo, racconta la sua versione. Pochi giorni fa è stato dimesso dall’ospedale ed è tornato a casa. La voce è ancora flebile, spesso rotta dalla commozione. Negli occhi, le terribili sequenze degli istanti che hanno preceduto l’incidente, nel quale sono morte la capotreno, Anna Maria Matarese, e una passeggera, Duilia Logli. Trentaquattro i feriti.


Cosa ricorda del viaggio verso Cuneo?

«C’era il segnale verde. L’ho visto, e anche la mia collega, che purtroppo non può più testimoniarlo. Eravamo nella mia cabina. Sì, i segnali erano verdi tutti e due. Quindi mi sono comportato come fa un macchinista in queste circostanze».


Da quanto tempo lavora in Ferrovia?

«Sono a Cuneo dal ‘75, prima come aiuto, poi come macchinista».


Percorreva spesso quella linea?

«Sempre, tutti i giorni».


Cos’è accaduto, arrivando a Madonna dell’Olmo?

«C’era il primo segnale verde, poi anche il secondo. Gli scambi, però, erano girati. Quando li ho visti, ho tirato la rapida, ma era troppo tardi».


A cosa si pensa in un momento tanto drammatico?

«Sono rimasto sempre lucido. C’era tanta polvere, non riuscivo ad aprire gli occhi. Ma mi ricordo tutto. Mentre il treno scivolava ancora, ho sentito un peso improvviso sul petto. Mi comprimeva qualcosa, non so di cosa si trattasse. Intanto il treno continuava la sua corsa. Poi si è fermato. Ho cercato di pulirmi gli occhi, mi sono accorto che potevo muovere le gambe, che non erano più bloccate. Ma, quando ho passato una mano sulla fronte, si è aperta una ferita e grondavo sangue. Allora mi son tolto la camicia, l’ho legata in testa e sono uscito dalla cabina. Mi sono steso sui binari, per non svenire, aspettando i soccorsi».


Ora come si sente?

«Meglio, ma ho problemi ad alcune vertebre. E ricordo sempre l’incidente: un pensiero allucinante».


Vuol dire qualcosa alle famiglie delle vittime?

«La capotreno, Anna Maria, era come una mia sorella....».


Ha un pensiero ricorrente?

«Ci sono tante forme per rendere sicure le linee. C’erano già stati incidenti. Quando succede qualcosa, tutti a caldo promettono, poi non si fa nulla. Bisogna che siano installati i sistemi di sicurezza».


È certo della sua ricostruzione dei fatti?

«Lo sono. Ho la coscienza tranquilla. Non è stata colpa mia. Vorrei che i miei occhi avessero potuto fotografare quello che ho visto, la verità. Così avrei potuto dimostrarlo».
Mentre prosegue l’indagine della magistratura, i legali di Pietro Noto, Mauro Mantelli e Gianmario Parola, sottolineano: «Prima di trarre conclusioni, bisogna aspettare gli aspetti peritali. Quella ferroviaria, in termini tecnico-giuridici, viene considerata attività pericolosa. Dunque l’imprenditore deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile perché non si verificasse un danno. Di aver fatto gli investimenti su una tratta così frequentata».

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