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Data di pubblicazione:12/01/2005
Fonte:L’Avvenire
Titolo dell’articolo:L’inevitabile ultimatum del cittadino-pendolare: che un treno arrivi nel tempo previsto o sei ore dopo fa lo stesso,nessuno ne risponde
Testo dell’articolo:Stavolta si sono mossi i pendolari della Torino-Milano, domani (chissà?) potrebbe essere il turno dei colleghi della Cassino-Roma, oppure dei forzati della rotaia costretti a sopportare i disagi della Mantova-Cremona-Treviglio o gravati dal pedaggio imposto dal superamento dei nodi di Bologna o di Mestre. È sempre più dura la vita del pendolare, fatevelo raccontare da chi sui treni si è fatto il fegato grosso per oltre trent'anni, da chi ha visto cambiare alcune cose in meglio (le panche di legno non ci sono più) ma deve constatare che i tempi di percorrenza sono rimasti immutati, la puntualità è peggiorata, il rispetto degli orari è più che mai un optional. Diciamolo: la cultura della precisione è estranea al Dna ferroviario italiano. E si capisce perché: che un treno giunga al capolinea nel tempo previsto o sei ore dopo fa lo stesso, nessuno ne risponde, nessuno paga. Eppure, se c'è una categoria di utenti della rotaia che merita un monumento è quella dei pendolari. Lasciano in garage le auto riducendo gli intasamenti sulle tangenziali e il soffocamento della città. Abitano in provincia contrastando il gigantismo delle metropoli e mantenendo in vita comunità locali e piccoli centri a rischio spopolamento. Adottano attitudini virtuose il più delle volte per libera determinazione, ma il mattino dopo eccoli ad imprecare sul marciapiedi di una stazione perché il loro treno si fa desiderare e arriverà strapieno. Oppure non arriverà proprio, soppresso per imperscrutabili ragioni. Tecniche, ovviamente. Il che significa tutto e nulla. Ieri a Vittuone, sulla Torino-Milano, tra Magenta e Rho, il pendolare-sardina, pur assuefatto al processo di autocompressione, non è riuscito a salire sulle vetture disponibili e si è riversato sui binari. La fisica dice che dove c'è un corpo non ne può stare un altro, ma chi ha inventato i treni a composizione bloccata (tot numero di carrozze, sempre quelle) ignora evidentemente che i flussi di passeggeri cambiano in relazione all'orario, al giorno della settimana, alla stagione. Non servono indagini di mercato, basta il buonsenso per scoprirlo. Così come basterebbe relativamente poco per alleviare le pene bi-giornaliere dell'utenza ferroviara (adesso però la chiamano clientela) più numerosa e penalizzata che si muove per lavoro e per studio: orari calibrati sulle effettive esigenze del traffico pendolare, manutenzione e pulizia meno approssimative del materiale rotabile, rispetto meticoloso delle tabelle di marcia, vetture sufficienti alla bisogna. Accanto ai mega progetti avveniristici - pur necessari nel nuovo secolo - deve trovare spazio una politica delle piccole cose attenta alle esigenze concrete del viaggiatore, aliena dagli sprechi e dal lassismo che fa chiudere in rosso i bilanci, refrattaria alla tentazione di giocare tutte le carte e tutto il futuro ferroviario sull'alta velocità e sulle cosiddette grandi opere che non si sa quando verranno e quanto gioveranno al pendolare di Bergamo, o di Latina, o di Fossano. Piccole cose, modesto cabotaggio ferroviario ma in tempi rapidi. Perché il viaggiatore-pendolare non ha più tempo da perdere. E da un momento all'altro potrebbe decidere di tradire il treno. E allora sì che sarebbero guai seri per tutti. Agli inizi degli anni Novanta, ad una conferenza del traffico di Stresa, l'allora numero uno di Fs Lorenzo Necci garantiva che il passante di Milano doveva ritenersi cosa fatta. È stato completato nelle scorse settimane e il collegamento verso Rogoredo è di là da venire. I mal di pancia dei pendolari di questi giorni e quelli che si registreranno in futuro derivano anche da lungaggini vergognose a fronte delle quali il ritardo cronico di qualsivoglia treno regionale sarebbe irrilevante se non incidesse in maniera intollerabile sul vissuto quotidiano di centinaia di persone. Naturalmente paganti.

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