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Data di pubblicazione:15/06/2005
Fonte:Il Secolo XIX
Titolo dell’articolo:Il caso della Voltri-Ovada: solo quattro treni sulla linea dei miracoli
Testo dell’articolo:Genova. «Ci passeranno quaranta treni al giorno!»: quattro e mezzo. «Il ponente sarà liberato dai tir!»: almeno 1.600 tir entrano ed escono dal terminal container di Voltri ogni 24 ore. «Finalmente raggiungeremo i mercati centro-europei!». Tutt’al più Ovada.
Dopo aver sognato, speso 400 miliardi di vecchie lire (200 milioni di euro) e fatto scempio della più romantica collina di Pegli, quella del Risveglio, Trenitalia Cargo ammette oggi che la bretella Voltri-Ovada-Acqui, per come è stata concepita, serve a poco o a niente.

Carlo Lubrano, responsabile genovese della produzione: «Il fatto è che le merci vanno altrove». Negli interporti o nelle industrie di Milano, di Padova, in Emilia «ma non ad Alessandria, e quindi in Svizzera, dove gli studi avevano previsto che sarebbero andate. Capita di sbagliare: e comunque aspettiamo l’evoluzione dei traffici».
In attesa dell’evoluzione dei traffici, gli studi delle Ferrovie hanno calcolato male anche la pendenza del mostro di ferro e plexiglass che sale dal mare di Prà per conficcarsi nella collina di Pegli. La bretella è stata collaudata per una portata di ottocento tonnellate, ma i treni merci ne pesano mille o milleduecento: «Così - sospirano nella sede centrale di Trenitalia Cargo - dobbiamo usare una doppia motrice. Costi più alti, spreco di risorse...».
L’Autorità portuale non nega lo scandalo, anzi sottolinea che all’interno dello scalo marittimo mancano proprio le motrici, e anche i vagoni, ma assicura di essere già corsa ai ripari: «Assieme alle ferrovie - spiega il presidente, Giovanni Novi - abbiamo costituito una commissione per rivitalizzare le vecchie linee e collegarle alla rete interna al porto». I container sbarcati o imbarcati nel porto di Genova viaggiano su camion all’80 per cento? «Dobbiamo riequilibrare il rapporto e passare al 40 per cento su treno».
La Voltri-Acqui non è neppure una vecchia linea, anzi per molti versi è nuovissima: le gallerie di Borzoli sono state rimodellate per far passare i giganteschi container hi-cubes, e quando sarà pronto il Terzo Valico probabilmente sarà utilizzata davvero. Nel frattempo rischia di trasformarsi in un monumento allo spreco.
«In effetti - ammettono Trenitalia Cargo e Autorità portuale - se tracciamo una linea verticale che passa per Genova vediamo che i traffici vanno a est». Forse la linea poteva essere tracciata prima di spendere i quattrocento miliardi, o di rovinare la collina di Pegli invadendo con i piloni, tra l’altro, la sede dell’Aurelia e i cantieri navali praesi; ma Giovanni Novi sostiene l’utilità della bretella anche nel breve periodo, perché«sono le infrastrutture che attirano l’industria».
Piero Lazzeri, leader degli spedizionieri genovesi: «Purtroppo la Voltri-Ovada finisce nel cuore del Nordovest, dove non ci sono servizi intermodali. Cioè mancano i piazzali dove i container possano essere depositati e ritirati. Ecco perché a Torino o ad Alessandria conviene andare direttamente con il camion».
Emilio Ruozzo, Interconsult, multi-terminal operator il cui pacchetto azionario appartiene quasi interamente a Trenitalia: «Per motivi di costi, è stato abolito il cosiddetto traffico diffuso. Erano i treni allestiti per carichi che non avevano una cadenza precisa, come il cacao o il caffè, e che andavano a Spinetta Marengo, a Rivalta... Cancellato tutto. In pochi anni, il traffico su gomma è aumentato del 15 per cento».
Sostengono al Voltri Terminal Europa che il mancato utilizzo della bretella «dipende da un mercato che ha distanze medio-brevi», e non internazionali come si vorrebbe. Ma attenzione: c’è chi ha interesse, legittimo s¤intende, a far sì che le spedizioni ferroviarie non decollino.
«Per noi il treno è un concorrente», ammette Matteo Prefumo della ditta Sdc, piccola flotta di camion e un magazzino all’aeroporto: «Vogliamo parlarci chiaro? Se e quando la ferrovia funzionerà, sarà un disastro. Perché ci porterà via il valore aggiunto della merce, che deriva dal poterla stoccare o manipolare. Cosa ci guadagno io se il container viene velocemente sbarcato e trasportato a Rivalta, a Novara o a Piacenza»?
A proposito: nei giorni scorsi è miseramente naufragato il primo distripark genovese inaugurato tra squilli di fanfara una decina di anni fa («Ecco la vera ricchezza dei porti, ora le merci si fermeranno, arriveranno i posti di lavoro...»). Il Genoa Distriport ha deciso di mettere in liquidazione la società che lo gestiva, e soltanto l’intervento dell’Autorità portuale ha congelato il provvedimento: «Ho preteso - spiega Novi - che il Vte-Pde utilizzasse lo stesso quei capannoni, salvando i 26 dipendenti». Ma intanto, l’invocato valore aggiunto della manipolazione delle merci è evaporato: e il trend che vede i distripark trasferirsi dai porti ai centri di produzione o della grande distribuzione è confermato.
Piero Lazzeri: «Bisogna cambiargli il futuro, a Voltri. E prima di tutto decidere se quei capannoni devono essere magazzini evoluti oppure ospitare lavorazioni per grandi società».
L’industria sospirata da Novi. Allora sì che la bretella potrebbe inviare le merci nel corridoio verso la Svizzera. In attesa del Terzo Valico al quale il terminal di Voltri sarebbe velocemente collegato.
Certo bisognerà incentivarlo, il traffico via treno. Che invece nel porto di Genova segue un trend negativo, nello scorso mese di maggio è diminuito dell’8%, e deve fare i conti con le infrastrutture che non ci sono e con la lobby degli autotrasportatori.
Non solo. Inaugurata nel 1999, la bretella prima è rimasta bloccata per due anni perché le gallerie della Genova-Ovada risultavano troppo basse per gli hi-cubes. Poi è stata semi-abbandonata per i lavori alla stazione di Alessandria.
Poi sono saltati fuori il problema della pendenza, della penuria di locomotori, dei vagoni che quando partono per il Norditalia non sai mai se tornano (disorganizzazione: i francesi, che non si fidano, hanno imposto a Trenitalia Cargo una penale altissima in caso di mancata restituzione del loro materiale rotabile).
Troppa approssimazione, insomma. Anche se tutti quegli inconvenienti hanno fatto lievitare i costi, dalle perizie alle consulenze allo slittamento dei tempi, e garantito una più ampia distribuzione delle risorse. Qualcuno maligna che il vero business sia stato questo.

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