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Data di pubblicazione:28/11/2005
Fonte:Panorama.IT
Titolo dell’articolo:Effetto «nimby» se lo conosci lo eviti
Testo dell’articolo:«Not in my backyard» è l’acronimo che spiega il rifiuto per le grandi opere sul proprio territorio. In Italia è quasi sempre scontro. Però ci sono eccezioni: eccole.

In principio fu il tam tam nel vicinato. Seguirono assemblee, comitati spontanei via via più organizzati, un dialogo scarno con l’Ltf (la società mista tra Ferrovie italiane e francesi che costruisce la Torino-Lione), allarmi inascoltati su uranio e amianto. Risultato? Uno sciopero di oltre 50 mila persone contro la linea ad alta velocità in Val di Susa. Una escalation per il fronte del no.
Non è la prima volta. Già nel 1995, dopo dieci anni di progetti e proteste, l’Enel era stato indotto a rinunciare a un elettrodotto attraverso la Val di Susa per il collegamento Italia-Francia. Tutta colpa (o merito) del fatto che i piemontesi son «testùn», caparbi? Niente affatto. L’Italia intera, da Trento a Palermo, risuona di proteste contro ruspe e trivelle in nome del «Nimby», un acronimo che sta per «not in my backyard», ovvero non nel mio giardino.

Discariche, ferrovie, centrali elettriche? Servono ma nessuno le vuole sotto il naso, per non rinunciare a silenzio, aria pura, panorami. La sindrome Nimby è stata diagnosticata in tutto il mondo occidentale, ma l’Italia è il paese dove viene combattuta in modo meno efficace. Il vaccino esiste e si può riassumere in quattro C: comunicazione, coinvolgimento, conciliazione, consenso.
Nel Paese l’infezione si propaga in quattro S: silenzio (delle aziende), sfiducia (dei cittadini), scontro tra le parti, stop ai lavori. Se le aziende non informano in tempo la popolazione, non la fanno partecipare alla definizione dei progetti, si preoccupano solo dell’approvazione sulla carta di nuovi impianti, la contestazione è inevitabile.

Il Nimby forum, che riunisce in modo trasversale istituzioni, imprese e associazioni ambientaliste ed è promosso dalla società di consulenza Allea, studia il fenomeno attraverso un osservatorio sulla stampa: nell’ultimo anno ha monitorato 104 opere contestate. Il tavolo delle trattative comincia a dare frutti su base nazionale, ma si arena a livello locale.
Governo e Regione Piemonte (pur da schieramenti politici opposti) sono favorevoli all’alta velocità, ma le associazioni locali e i cittadini della Val di Susa sfilano con i sindaci in testa ai cortei. A Brindisi, la battaglia contro il rigassificatore British Gas (l’Enel ha rinunciato a causa delle contestazioni) ha compattato Nichi Vendola, il governatore della Puglia di centrosinistra, e Domenico Mennitti, sindaco di Forza Italia, mentre a Roma tanto Silvio Berlusconi quanto Romano Prodi sono favorevoli al progetto.

In Sardegna, dove prevale la produzione di energia elettrica con vecchie centrali a carbone, si contrastano persino i progetti per gli impianti eolici, l’energia più pulita che ci sia. «Spesso sono posizioni pregiudiziali che non mirano a migliorare i progetti, ma solo a ostacolarli» dichiara Corrado Clini, direttore generale del ministero dell’Ambiente. Un esempio? «Le direttive comunitarie impongono, proprio per salvaguardare l’ambiente, di riciclare il più possibile i rifiuti, di riutilizzare quel che resta producendo energia e di mandare solo la parte residuale in discarica».
Basta la parola termovalorizzatore a scatenare il caos, da Acerra (Napoli) a Gerbido (Torino), da Paternò (Catania) a Macomer (Nuoro). I progetti vengono ostacolati, i lavori bloccati. Clini accusa: «Purtroppo, e siamo gli unici in Europa, facciamo una grande fatica ad assumerci le responsabilità di governo. Si adottano soluzioni tampone come i treni di rifiuti che vanno dalla Campania in Germania, lasciando il campo alle organizzazioni malavitose che con lo smaltimento illegale, e pericoloso, fanno soldi a palate. Intanto nel centro di Vienna c’è un nuovo termovalorizzatore, visitato ogni anno da centinaia di studenti. Cari ambientalisti» è l’appello di Clini «non fare vuol dire consolidare la situazione attuale di traffico, inquinamento, mancato smaltimento dei rifiuti».

Perché non siamo tutti viennesi? «In Italia c’è troppa opacità e scarsa partecipazione dell’opinione pubblica» ritiene Edoardo Croci, vicedirettore dello Iefe Bocconi (Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente) e coordinatore di un recente studio che rivela: quasi metà delle autorità pubbliche non rendono accessibili i dati su procedimenti e controlli ambientali, solo il 21 per cento certifica quei dati. Anche per questo la gente non si fida ed è pronta a credere a presunti esperti che talvolta diffondono allarmi ingiustificati o cavalcano proteste per farsi pubblicità.
La storia italiana, dalla diga del Vajont alla Icmesa di Seveso, non favorisce un clima di fiducia. «Le compensazioni offerte ai cittadini e ai comuni che subiscono i disagi dei cantieri spesso appaiono come iniziative calate dall’alto per placare la contestazione» commenta Alessandro Beulcke, presidente della Allea e direttore del Nimby forum, «soprattutto perché, invece di essere discusse prima, come strumento di concertazione, vengono proposte dopo che i cittadini hanno cominciato a protestare».

Un boomerang: l’opinione pubblica le interpreta come tangenti per cucire le bocche sul rischio ambientale. Strategia sbagliata da parte delle aziende e delle amministrazioni che l’Unione Europea ha cercato di ribaltare già dal 1998 con la Convenzione di Aarhus, che sottolinea la necessità di far partecipare i cittadini alla politica ambientale. L’Italia l’aveva recepita coinvolgendo almeno la Conferenza dei servizi nelle valutazioni d’impatto ambientale (Via), ovvero i via libera ai lavori.

Ma, nata per agevolare le grandi opere snellendo la burocrazia, la Legge obiettivo del 2001 (che dà al governo la delega «in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici e altri interventi per il rilancio delle attività produttive») ha escluso gli enti locali dalle decisioni e acuito lo scontro.
Invertire la tendenza al conflitto sociale si può. «Con buonsenso e programmazione» raccomanda Beulcke: «La tratta ad alta velocità tra Bologna e Firenze buca montagne e attraversa parchi e città ma le iniziali proteste, in quel caso, hanno portato a una seria negoziazione». Merito di un lavoro capillare nella zona, con bollettini ai cittadini e centri di contatto nei due capoluoghi per ascoltare le esigenze di chi deve convivere con i cantieri prima e i treni veloci poi.

«È stata un’esperienza costosa: nulla si fa gratis, figuriamoci grandi opere di modernizzazione» ammette il sindaco di Sesto Fiorentino, Gianni Gianassi. Proprio in un quartiere di 5 mila abitanti alla periferia della sua città si apre il tunnel principale della Tav, che con 73 chilometri in galleria attraversa l’Appennino tosco-emiliano. Per mesi qui è stato aperto il cantiere più grande d’Europa. «Non sono il primo sindaco che segue questa vicenda, il mio predecessore, per due mandati, ha assistito alla stipula dei contratti. All’inizio c’erano assemblee cittadine affollatissime, con comitati popolari che contrastavano il piano dei lavori». Ma ministero e Tav hanno accettato piccole deviazioni al tracciato originale, spostato alcuni cantieri, creato un osservatorio ambientale in costante contatto con i comuni coinvolti.

Non solo. La Tav (attraverso il Consorzio Cavet, capitanato dalla Impregilo) ha concordato nei dettagli l’impatto del cantiere: quanti camion al giorno, attraverso quali strade, quanti passaggi della spazzatrice per evitare che residui di fango creassero pericoli alla viabilità.
Il ripristino ambientale a fine lavori e una serie di opere extra sul territorio di Sesto Fiorentino sono in fase di ultimazione: la Tav si è fatta carico di interrare tutto l’elettrodotto, ha previsto barriere antirumore quando la nuova tratta ferroviaria passa in superficie e per tutta la linea preesistente, ha costruito un moderno asilo nido per ospitare i bambini che altrimenti sarebbero andati a scuola in un edificio troppo vicino al cantiere, ha creato o allargato le strade percorse dai mezzi impiegati nei lavori.

E che fine avrebbero fatto le migliaia di tonnellate di terra e roccia estratte? I materiali di scavo non inquinati sono stati utilizzati per costruire barriere antirumore lungo l’Autostrada del mare (su cui è stata creata anche una pista ciclabile) e per risanare una vecchia cava dove nascerà un’area per il tempo libero con anfiteatro e campi sportivi. Oggi il sindaco Gianassi assicura: «Il bilancio è positivo, anche in termini di consenso elettorale».
Il Piemonte ha il suo caso virtuoso di gestione del Nimby. Comune e provincia, con il centro Omero dell’Università di Torino e la Metis ricerche, monitorano fin dal 2002 il consenso sui Giochi olimpici invernali di Torino 2006 e l’impatto dei cantieri sulla città con migliaia di interviste telefoniche. Una vera operazione di «business intelligence» basata su un programma della statunitense Sas, che valuta le risposte in termini statistici, analizza le parole usate dai cittadini e stratifica le valutazioni per fasce d’età e tipologia di persone. È in base a questi risultati che sono state strutturate campagne di informazione mirate.

Invece a Roma, dove la raccolta differenziata stenta a decollare (solo il 14 per cento dei rifiuti viene riciclato), ancora non si è affrontato con decisione il problema che mette l’uno contro l’altro amministrazioni e quartieri della capitale: Malagrotta, la più grande discarica d’Europa, è arrivata alla saturazione. L’accordo per il termovalorizzatore che dovrebbe trasformare i rifiuti in energia è ancora lontano. Il governatore del Lazio, Piero Marrazzo, ha aperto un tavolo di concertazione con enti locali e associazioni. In attesa dei risultati ha sospeso tutti gli atti precedenti. Ma presto si dovrà pur sapere come smaltire le 4.500 tonnellate di rifiuti che ogni giorno la capitale produce. Difficile che finiscano nel giardino di chi finora non ha voluto decidere.

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