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Data di pubblicazione:06/01/2006
Fonte:Il Manifesto
Titolo dell’articolo:Il treno dei desideri all’incontrario va
Testo dell’articolo:Alla vigilia di Natale la Regione Liguria ha denunciato Trenitalia per interruzione di pubblico servizio. «Da luglio a settembre sono stati soppressi 1.047 treni, così non si può continuare», dichiara Luigi Merlo, assessore regionale ai trasporti. Il pendolare Mauro Brunetti, insegnante savonese, ha fatto tutto da solo: ha denunciato Trenitalia per «danno esistenziale».

Qualcosa di più del semplice «danno materiale» che l’ingegner Giorgio Daho, veterano della Lecco-Milano, si è divertito a quantificare: 500 euro all’anno solo in tempo «mangiato» dai ritardi. Che raddoppiano per i disgraziati costretti a viaggiare su linee «conciate peggio». Ritardi, guasti, disservizi stressano l’esistenza del milione e mezzo di italiani che salgono quotidianamente su un treno per ragioni di lavoro o di studio. La loro qualità della vita non è mai stata buona. È peggiorata dall’11 dicembre, con l’entrata in vigore del nuovo orario che ha soppresso molti treni interregionali a favore degli intercity. Che costano di più e fanno meno fermate. Basterebbe questo a giustificare le proteste dei pendolari che, conoscendo la bestia, si erano mossi in anticipo sulla fatidica data. A novembre i comitati di pendolari di cinque regioni - Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Toscana - avevano sottoscritto il «Patto di Voghera» («Voghera, importante nodo ferroviario», si imparava tanto tempo fa alle elementari). Dal documento traiamo questa citazione: «Il nuovo sistema degli orari è stato studiato scientificamente per non offrire la possibilità di coincidenze, con tempi di attesa ragionevoli, nelle stazioni dove viene spezzata la corsa degli interregionali.... Pagare di più per andare più piano non è il migliore degli slogan nel momento in cui si stanno per aprire le prime tratte ad alta velocità».

La realtà ha superato le pur pessimistiche previsioni. Dall’11 dicembre il sistema ferroviario è in tilt perenne, da Milano a Napoli piovono segnalazioni di ritardi e di treni soppressi senza preavviso. Guai persino nei giorni di «morbida»: il 30 dicembre il Bergamo-Milano delle 6,58 ha impiegato quattro ore, invece di 50 minuti, per arrivare in Centrale. Eccessivo, anche per una linea lumaca come la Milano-Bergamo. «Da una crisi endemica siamo passati al collasso quotidiano», sintetizza Dario Balotta, segretario della Fit-Cisl lombarda, pendolare cronico sulla Cremona-Milano, linea cenerentola per antonomasia. Con il nuovo orario Trenitalia «ha rimescolato l’offerta per aumentare surrettiziamente le tariffe, il lifting non è riuscito ed è venuto fuori un casino».

Perché le ferrovie italiane sono precipitate così in basso? L’elenco delle cause è lungo e Balotta mette in cima «l’incompetenza e l’irresponsabilità manageriale dei vertici aziendali». Valutazione condivisa da Giorgio Daho, portavoce dei 350 mila pendolari lombardi: «Il sospetto che i pezzi grossi non sappiano cos’è un treno è forte». Per Giorgio Duca, capogruppo dei Ds nella commissione trasporti alla Camera, ferroviere dal 1969 al 2003, è una certezza: «Le ferrovie sono governate da persone che i treni li hanno visti solo in cartolina. Li prendono da fuori e si portano dietro il loro codazzo di incompetenti». Il presidente delle Fs Elio Catania viene dall’Ibm, l’amministratore delegato di Trenitalia Roberto Testore viene dalla Fiat. Gente da licenziare in tronco, visti i disastri che combina: il 12 dicembre a Milano migliaia di persone con il posto prenato non solo non hanno trovato il posto, non hanno trovato neppure il treno. Ciò nonostante, «Trenitalia se la canta e se la suona, i dirigenti interrogati in commissione dicono che tutto va bene. Pensano solo a vendere il patrimonio immobiliare, a costruire hotel e garage. Ma a far viaggiare i treni chi ci pensa?». I vertici delle Fs hanno un’unica attenuante, ammette il parlamentare diessino: «Questo governo continua a tagliare i fondi, mentre le ferrovie hanno bisogno d’investimenti massicci per i prossimi dieci anni».

Mancano almeno 1.300 macchinisti, il 60% dei 16 mila chilometri della rete è a binario unico, solo il 20% delle motrici sono relativamente nuove, tutto il resto - rotaie, scambi, carrozze - è logoro. Quindi bisognoso di continua manutenzione. Ma se il personale scarseggia e il materiale manca la manutenzione viene fatta solo a valle dei guasti, non prima.

«Il cane si morde la coda», conviene Ballotta che, unico sindacalista confederale dei trasporti contrario all’alta velocità (a quanto ci consta), aggiunge una postilla alla mancanza di fondi. «Più che non esserci, i soldi vengono messi nel posto sbagliato. Ad esempio, per comprare 95 treni ad alta velocità quando abbiamo solo 300 chilometri su cui farli viaggiare». È un vecchio vizio delle Fs: si spende non in base alla domanda degli utenti, ma in base all’offerta delle industrie che costruiscono i treni o, più di recente, delle camarille affaristiche. Quelle che vogliono bucare montagne e costruire ponti per realizzare «forse tra quindici anni» l’alta velocità in un paese dove «ogni trenta chilometri c’è una città importante che va servita».

Sentir parlare di Tav su una tradotta di pendolari non fa un bell’effetto, racconta Daho. Lui non è pregiudizialmente contrario, «però prima di pensare a quella, mettano a posto le linee locali». Trenitalia ha sviluppato «due sistemi che non si parlano»: da una parte i treni «di lusso» a lunga percorrenza, dall’altra i treni scalcinati a breve percorrenza. Unico elemento in comune, «la scontentezza degli utenti», che dilaga anche sui treni vip. Lì alla tariffe salate non corrisponde la qualità e la certezza del servizio e «non basta la laurea per districarsi nella babele di sigle». Dopo i ritardi, nella lista delle doglianze del pendolare Daho viene il sovraffollamento. Poi, il troppo caldo d’estate e il troppo freddo d’inverno. Allo sporco, alle toilette inagibili, anzi inavvicinabili, dopo 22 anni l’ingegnere ha fatto il callo. Animaletti strani personalmente non ne ha mai incontrati, anche se è all’ospedale della sua città (Lecco) che si era precipitata il 20 dicembre la studentessa punta dall’ormai famoso scorpione sul treno Tirano-Milano. Famoso, perché un po’ più grosso delle solite pulci. Gli appalti delle pulizie sono un altro dei capitoli neri delle ferrovie. Spartiti tra i soliti noti, che subappaltano a cooperative, che pagano salari da fame a pulitori, che hanno giusto il tempo di vuotare i cestini della spazzatura e passare la ramazza.

Cambierà qualcosa dopo l’incontro di ieri tra le associazioni dei consumatori e i vertici di Fs e Trenitalia? Giorgio Daho, presente all’incontro, non si fa molte illusioni: «Hanno promesso tanti tavoli di confronto a livello interregionale». Per correggere gli svarioni più grossi collezionati dal nuovo orario che, però, Trenitalia conferma nella sostanza. Dunque, la protesta dei pendolari è destinata a riprendere vigore dopo le feste. Ci sarà il minacciato sciopero del biglietto? «Dipenderà dall’andamento dell’esercizio», risponde Daho in pendolarese. Tradotto in italiano: sì, se ritardi e treni soppressi non rientreranno «almeno» nella norma. Il 26 gennaio è in calendario lo sciopero proclamato da Cgil, Cisl e Uil. «Sarebbe bello se quel giorno pendolari e ferrovieri facessero qualcosa insieme», dice Balotta.

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