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Data di pubblicazione:24/01/2006
Fonte:Famiglia Cristiana
Titolo dell’articolo:Fuori dal tunnel
Testo dell’articolo:Tutti ormai chiedono una svolta, ma le Fs per risparmiare chiudono anche i bagni, e i tagli previsti dalla Legge finanziaria non promettono nulla di buono.

Pescara Centrale, martedì 17 gennaio. La stazione è immensa e con le sue vetrate annerite acceca il paesaggio e quasi sovrasta la città. È moderna nell’aspetto e potrebbe stare bene in una metropoli. È stata costruita negli anni ’80 per 120.000 abitanti, quanti ne orbitano attorno a un’affollata stazione della metropolitana di una grande città.

Al viaggiatore che per avventura giungesse da queste parti può capitare di incrociare un grosso pastore abruzzese che si aggira nell’atrio. «Buono come il pane», dicono gli agenti della Polfer, «è qui da tanti anni ed è la mascotte della stazione». Mentre il poliziotto mi rassicura guardo l’orologio che sta appeso al muro: è in ritardo di parecchie ore e la data è ferma al 31 febbraio! Comunque, c’è tempo prima che arrivi il treno. Incrocio un raro ferroviere e ne approfitto per chiedere dove è la sala d’attesa. Sorride e con garbo mi dice che le due sale, sul primo binario, sono chiuse da molti anni. «Vada a vedere», dice, «c’è un cartello». Per arrivare ai binari occorre salire di due piani. Una prima scala mobile porta al sottopassaggio, poi la sorpresa: si prosegue a piedi, perché le altre due scale mobili sono ferme. Ma non da qualche ora. Nemmeno da un giorno e neppure da un mese. Guaste da due anni. Inaugurata nel 1987, la stazione dista qualche decina di metri da quella vecchia, costruita nel 1863, praticamente agli esordi della ferrovia, quando fu completata la linea Roma-Sulmona-Pescara, un binario unico che è rimasto tale e quale. Così, per raggiungere la capitale ci vogliono dalle tre alle quattro ore.


Quando c’erano i treni a vapore

«All’apparenza sembra tutto moderno, in realtà qui siamo fermi all’Ottocento», dice un addetto alla manutenzione che preferisce mantenere l’anonimato per paura di ritorsioni dopo il licenziamento dei ferrovieri genovesi che avevano denunciato alcune magagne alla trasmissione Report. «Ormai non riusciamo a garantire il servizio. Con l’entrata in vigore del nuovo orario (11 dicembre 2005, ndr.) si sopprimono sette treni al giorno, ma durante l’estate, quando ci sono i vacanzieri, siamo arrivati a 18 convogli cancellati». Interviene un altro ferroviere: «Eppoi chiudono anche le toilette…». Sembra che per una curiosa coincidenza in tutte le stazioni secondarie le porte dei bagni siano state sbarrate. «Più che una curiosa coincidenza», precisa Giovanni Luciano, segretario della Fit-Cisl, «è una scelta. È stata diramata una disposizione: dove il numero dei viaggiatori non è superiore a 800, sale d’attesa e bagni restano chiusi. Per risparmiare. Da anni l’imperativo non è più la qualità del servizio, ma il taglio dei costi. Eravamo 220.000 nel 1990», prosegue Luciano, «ora siamo meno di 100.000. Sembrava che tutti i problemi delle Ferrovie fossero legati all’esubero di personale. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta. E ora ci ritroviamo con un’azienda incapace di garantire la sicurezza e la marcia dei treni». Stanchi di subire in prima persona incidenti, guasti e proteste dei viaggiatori, Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil, Fast Ferrovie, Ugl, Af e Orsa hanno proclamato uno sciopero nazionale di 24 ore a partire dalle 21 del 26 gennaio. Un curioso comunicato unitario reca il titolo: “Prima di tutto far camminare i treni”. Sembra in linea con la situazione delle Ferrovie, dove far “camminare” i convogli è già un miracolo... «Non è un’esagerazione o un errore», chiarisce Luciano, «qui si rischia di fermare tutto».


Secondo i dati forniti dalla Fit-Cisl, la crisi attuale delle Ferrovie è disegnata dal numero di convogli soppressi da Trenitalia: nel solo mese di dicembre 2005 ben 6.901. Le cancellazioni nello stesso periodo dell’anno precedente erano state 3.091. La media mensile delle soppressioni per il 2005 arriva a 2.940 treni contro la media di 2.330 del 2004. La stessa puntualità è in discesa rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. «Giocano solo in parte i rallentamenti dovuti ai cantieri in linea», spiega Claudio Claudiani, segretario generale della Fit-Cisl. «C’è una questione di funzionamento del ciclo produttivo che va affrontato con serietà, rivisitando all’occorrenza i modelli organizzativi e le competenze».


Carrozze d’epoca

Sul tappeto rimangono limiti strutturali che ogni giorno che passa si aggravano sempre di più. Carrozze con un’età media di 30 anni. Mezzi elettrici leggeri intorno a 20,4 anni. Treni diesel mediamente vecchi di 22,5 anni. Un po’ più giovani, si fa per dire, le locomotive per i servizi passeggeri, con un’età media di 21,3 anni, mentre l’unico indice in linea con le reti europee è quello degli Etr (Eurostar) che circolano mediamente da 7,4 anni. Sono dati forniti dai sindacati che hanno dichiarato lo sciopero del 26 e 27 gennaio.

Con 8.000 treni al giorno che garantiscono lo spostamento di circa 1 milione 300.000 persone, i guasti non si contano. «Nel nodo di Milano», racconta Franco Fedele, segretario regionale della Filt-Cgil, «i treni in circolazione sono raddoppiati negli ultimi anni, ma la manutenzione invece è diminuita. Addirittura per riparare un guasto, i pezzi di ricambio all’occorrenza vengono trasferiti da una locomotiva all’altra».


Taglia di qua, taglia di là

Per esempio, negli ultimi 5 anni i manutentori delle linee dell’Emilia-Romagna sono passati da 1.700 a 1.300; gli operai delle officine sono calati di 200 unità. Capistazione e personale della circolazione sono scesi da 1.485 a 785. Nello stesso lasso di tempo, ci sono stati 22 morti in incidenti (il 34 per cento dei decessi sull’intera rete) e 226 feriti. La denuncia arriva dalla Filt-Cgil dell’Emilia-Romagna che ha raccolto dati e testimonianze sul degrado della sicurezza in uno dei principali nodi ferroviari.

Tra Ferrara e Ravenna, per esempio, alla manutenzione di una linea che ha 100 passaggi a livello, lavorano 3 operai. Così pochi che non riescono a fare controlli, e possono solo riparare i guasti. Per il coordinatore regionale Filt, Alberto Ballotti, per ovviare alle difficoltà di manutenzione dei mezzi, «Trenitalia ha raddoppiato i tempi: prima un locomotore diesel rientrava ogni 15.000 km, adesso ogni 30.000». Per un pezzo di ricambio si aspettano 4-6 mesi, mentre aumentano i lavori esternalizzati: ogni giorno alle Officine grandi riparazioni di Bologna entrano 100 lavoratori esterni «privi di tutele». Come se non bastasse, a causa dei tagli della Finanziaria, per 1.200 milioni di euro, dicono i sindacati, l’ordinaria manutenzione dei treni sarebbe assicurata solo fino a maggio. Se i treni potessero almeno “camminare”.




ODISSEA A TORINO PORTA NUOVA

La mattina del 19 gennaio, ad esempio, nella stazione torinese di Porta Nuova, i pendolari in attesa hanno quasi tutti il quotidiano La Stampa, che in prima pagina titola: “Treni, vittoria dei pendolari. Le Ferrovie fanno autocritica”. Tutto bene, allora, pensa qualcuno battendo i piedi per vincere il freddo. Come sempre, c’è un buon numero di persone in attesa dell’Eurostar 9.431 diretto a Roma, ma usato dai più per correre a Milano (partenza alle 7,10, arrivo previsto alla Stazione Centrale alle 8,45). Vittoria dei pendolari e autocritica delle Ferrovie? Si volta pagina, perbacco. Già. Peccato che quel 19 gennaio alle 7, l’Eurostar 9.431 non ci sia ancora. Vabbè, poco male, arriverà, mormorano gli ottimisti a oltranza.

Finalmente eccolo al binario 13. Passano però le 7,10, passano le 7,15, ma il simpatico mostro non accenna a muoversi. «Causa un guasto al locomotore, l’Eurostar 9.431 partirà con un ritardo al momento non quantificabile. Ci scusiamo per il disagio». Ci si organizza al volo, consigliati a farlo dallo stesso personale di Trenitalia. Chi deve raggiungere Bologna acciuffa l’Eurostar 9.413 in partenza al binario 12: «Il suo locomotore sta bene, neh?», chiede simpatica la signora impellicciata al ferroviere che l’aiuta a salire. La maggioranza si trascina al binario 19, dove attende l’interregionale 2007. Ci si attacca al cellulare: «Arriverò a Milano un’ora dopo. Se tutto va bene, sarò in Centrale alle 9,42. Scusa ma non dipende da me».

Sono da poco passate le 7,45 quando l’altoparlante di Porta Nuova fa drizzare le orecchie: «L’Eurostar 9.431 è in partenza al binario 13». Ma non era rotto? «Meglio così, muoviti». Panico, corse, urla: «Aspetta». Il treno (che arriverà a Milano Centrale con 50 minuti di ritardo) parte lasciando a terra i più duri d’orecchio e i meno veloci.

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