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Data di pubblicazione:26/08/2006
Fonte:La Stampa
Titolo dell’articolo:La Tav in giardino: arrivano i Pimby. «Per noi sono benvenuti inceneritori, rigassificatori e alta velocità»
Testo dell’articolo:MILANO - Nimby e Pimby potrebbero essere due orsacchiotti, le mascotte di una competizione sportiva. Sono invece due opposte visioni dell’Italia. Nimby, not in my back yard - non nel mio giardino -, comunità, comitati che si oppongono a nuove infrastrutture sul loro territorio: «il rigassificatore andrebbe bene, sappiamo che è necessario per lo sviluppo - dicono i Nimby - ma non fatelo a casa nostra». Esempio classico, la paralisi che il comitato No Tav vorrebbe imporre all’alta velocità in Val Susa. Ma ce ne potrebbero essere anche tanti altri. Basta sostituire la «n» di not con la «p» di please (per piacere), ed ecco che con i Pimby cambia tutto: «Per piacere costruite le infrastrutture sul nostro territorio. Porteranno sviluppo, lavoro, migliore qualità della vita». Ci sono numerosi esempi anche di Pimby: l’ultimo esempio pochi giorni fa, quando il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, ha manifestato all’Enel la disponibilità dell’isola ad ospitare al largo delle sue coste due rigassificatori: permetterebbero l’importazione di gas via mare, contribuendo a ridurre la dipendenza dell’Italia dalle forniture via gasdotto. Soprattutto - a questo punta Cuffaro - porterebbero appalti e lavoro in Sicilia. Sul come trasformare i Nimby in Pimby si sta ragionando in questi giorni in Veneto, a Drò, nel pensatoio di quarantenni voluto e animato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta e dall’ex presidente dei Giovani di Confindustria Anna Maria Artoni, e chiamato veDrò in onore del paesino che lo ospita. Uno dei gruppi di lavoro si occupa, appunto della «linea sottile» che divide Nimby e Pimby. Inutile sottolineare che i quarantenni di veDrò sono tutti Pimby: anzi, vogliono individuare gli strumenti adatti per eliminare per sempre le paralisi da effetto-Nimby. «In fondo quello che proponiamo è la base della democrazia» dice Patrizia Ravaioli, curatrice del gruppo di lavoro e studiosa all’Arel. «Con la crisi delle istituzioni il cittadino non si sente più rappresentato. E invece quando si costruiscono grosse infrastrutture bisogna coinvolgere soprattutto la popolazione, ottenere il suo consenso: è la base della democrazia». Insomma: manca una comunicazione adeguata. È successo in Alta Val Susa per la Tav, a Cortina per la tangenziale, a Capalbio per l’autostrada che dovrebbe costeggiare il Tirreno. L’effetto Nimby si sente a Brindisi - dove il rigassificatore è bloccato da anni -, e nella piana di Firenze: dell’inceneritore previsto non c’è traccia. A Drò fanno altri esempi: «Si parla tanto dei No Tav, ma intanto le Ferrovie hanno aperto altri 500 cantieri in altre parti d’Italia e nessuno si lamenta», dice Ravaioli. In fondo, le amministrazioni che hanno coinvolto i cittadini per permettere la costruzione di un’opera importante anche se mal digeribile, alla fine ci guadagnano. Perché le infrastrutture possono portare anche effetti benefici sul piano sociale e ambientale: in cambio dell’inceneritore a Giffoni Valle Piana, in Campania, l’amministrazione ha ottenuto la costruzione di un Palazzetto dello Sport e l’arrivo di una tappa del Giro d’Italia. A Peccioli, in provincia di Pisa, con l’inceneritore è nato un uliveto. E se da una parte gli incentivi contribuiscono allo sviluppo del territorio, dall’altra servono disincentivi perché non si possa tornare in dietro a metà dell’opera. La mente corre subito al rigassificatore di Rovigo la cui costruzione è durata dieci anni - la media è tre - per l’opposizione strenua dei tanti comitati del no: e dire che l’impianto è in mare aperto, a tre chilometri dalla costa. La sfida è evitare che l’Italia finisca «prigioniera di mille localismi, arroccata sulla difesa dello status quo e incapace di dotarsi di nuove infrastrutture» e costruire un Paese a rete «finalmente interconnesso e integrato». Scongiurando la deriva «dell’eterno cantiere: un’Italia in una fase di perenne costruzione di impianti e reti, con uno sviluppo casuale e a macchia di leopardo». Se la proposta arriva dal think tank del sottosegretario alla presidenza del Consiglio in carica si può
ben sperare.

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