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Data di pubblicazione:03/05/2007
Fonte:La Stampa edizione di Genova
Titolo dell’articolo:In trenino da Genova a Casella
Testo dell’articolo:Una lunga fila di millepiedi avanza lentamente sul muretto. Pigri, seguono i mille passi del primo, che si muove evitando le crepe e aggirando i minuscoli sprazzi di verde che scappano fuori dalle pietre, verso l’aria primaverile. Il ritmo cadenzato e lento sembra il preludio al viaggio che sta per cominciare per un manipolo di visitatori e per qualche genovese che per un po’ lascia il mare e il traffico della città per il verde dell’Appennino, con l’aria buona e il passo rallentato. La stazioncina nascosta tra i palazzi di piazza Manin, aggrappata alle Mura di San Bartolomeo, sulla collina genovese, è un promettente esordio: dietro i vetri della biglietteria, un sorriso informa i passeggeri che il treno parte tra pochi minuti. Lo sguardo interrogativo ai vagoni fermi sollecita il resto: al momento giusto si saprà qual è il convoglio in partenza. La pensilina in mattoni e ferro si affaccia sul panorama oltre il muretto dei millepiedi. Dalla collina sbuca il treno, che arriva sbuffando, rallenta e sputa fuori il conduttore che salta sulla pensilina esortando i passeggeri a salire. La sensazione di essere già entrati in un’altra dimensione si fa sempre più forte. Le carrozze dai sedili di legno, qualcuna anche con panche imbottite, cominciano il loro percorso di 25 km sulla collina, lasciando i 93 metri sul livello del mare della stazione di partenza, fino ad arrivare ai 410 metri del capolinea, Casella. Un treno storico, su una delle poche ferrovie italiane a scartamento ridotto, inaugurato nel 1929 per servire l’alta Valle Scrivia e la Val Trebbia, prive di comunicazione. Oggi è diventato per lo più un’attrazione turistica, ma continua a servire come mezzo di trasporto per chi abita nei borghi dell’entroterra. Lo chiamano il treno delle «tre valli» perché, sebbene corto, il tragitto complessivo attraversa la Valbisagno, la Valpoceversa e la Valle Scrivia e introduce al verdeggiante Appennino genovese, alle porte della città. Serpeggiando tra le colline, lo sguardo spazia sul Levante genovese e sul mare, fino al promontorio di Portofino, poi compaiono boschetti di olivi aggrappati ai declivi e le macchie di ginestre e le sagome dei forti settecenteschi, verso la montagna. Qualche galleria e qualche tornante per prendere quota, mentre le fermate si susseguono. Stazioni minuscole, qualcuna con un pergolato e tavolini ombreggiati, con cartelli che indicano l’altitudine sul livello del mare, quasi per ricordare che ci si sta allontanando sempre più. Pochi chilometri e sparisce anche il pesce: nelle trattorie accanto alle stazioni si mangiano pesto e coniglio, olive e il famoso salame artigianale di S. Olcese Chiesa. Casella, capolinea, ultima tappa. La piccola Svizzera a ridosso del mare è raggiunta: zaini, panini e scarpe da ginnastica scendono a caccia di sentieri per il trekking, mentre i golosi si aggirano per le chiese del borgo in attesa che arrivi il momento di assaggiare le famose trenette decantate per buona parte del tragitto. Complice il bigliettaio, che scambia quattro chiacchiere con i passeggeri, aggiungendo dettagli ed evocando nomi di cuochi e mangiate memorabili. Qualcuno si ritrova sulla via del ritorno, qualcuno prolunga la sua fuga dalla città: i treni corrono più volte al giorno e Genova con i suoi palazzi protetti dall’Unesco, le chiese, le mostre d’arte e il mare sono a meno di un’ora di strada. Ferrata, tra le colline.

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