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Data di pubblicazione:26/11/2007
Fonte:La Voce.info
Titolo dell’articolo:Un piano a bassa velocità
Testo dell’articolo:È sempre stato costume delle Ferrovie italiane preannunciare i progetti per le grandi opere infrastrutturali (raddoppio delle linee esistenti, realizzazione delle linee AV/AC, elettrificazioni, realizzazioni di nuovi sistemi per la sicurezza della circolazione e quant’altro) senza mai puntualizzare i reali benefici che sarebbero stati offerti ai viaggiatori con la sua realizzazione. Si è sempre parlato approssimativamente di tutto come se la durata del tragitto di un treno fosse un ordine di grandezza e non già un tempo preciso. Così facendo, però, non c’è speranza di centrare gli ambiziosi obiettivi del Piano industriale.

La costruzione della “direttissima” tra Firenze e Roma ha ridotto il percorso di 56 Km e la nuova linea a monte del Vesuvio è stata costruita per evitare al treno il nodo di Napoli. Ciononostante, il treno notturno che collegava Milano a Reggio Calabria nel 1997 impiegava 13h55’ oggi ne impiega 15h05’ vale a dire ben 70’in più. Si è raddoppiata la linea Adriatica (limitatamente alle tratte a semplice binario) al fine di collegare meglio Milano con la Puglia. Oggi su 1018 km solo 44 sono a semplice binario (pari a circa il 4,3%). Il viaggiatore che nel 1997, viaggiando su Intercity, impiegava da Milano a Lecce 9h28’oggi, viaggiando su Eurostar, impiega 9h29’. È stato detto che la nuova linea AV/AC Torino-Novara, nonché il quadruplicamento della Milano-Treviglio, avrebbero migliorato la circolazione anche degli altri treni: ebbene l’Intercity che collegava Torino con Venezia nel 1997 impiegava 4h10’ oggi ne impiega 5h09’.

Grandi investimenti, treni più lenti
Il massimo della goduria credo però l’abbia il pendolare bergamasco che ha visto la realizzazione del quadruplicamento della tratta Lambrate-Treviglio ed il raddoppio della tratta Treviglio-Bergamo eppure il suo tempo medio di percorso è passato, dal 1997 al 2007, da 54’ a 55’ passando da una velocità commerciale di 62,2 Km/h a una di 61 Km/h. Si dirà che per venire da Bergamo a Milano il pendolare impiega meno tempo con il treno (55’) che con la sua automobile in autostrada. È vero solo nel caso non si prendano in considerazione i tempi necessari per raggiungere dalla propria abitazione la stazione e quelli necessari per raggiungere dalla stazione il posto di lavoro.
Il recente “Piano industriale 2007-2011 del Gruppo Ferrovie dello Stato” non solo si propone l’ambizioso obiettivo di arrestare il declino della modalità ferroviaria ma anche quello ancora più ambizioso di svilupparla con tassi di crescita rilevanti ed a costi efficentati, purchè sia garantita la stabilità economico-finanziaria. Come è presto detto: alla fine del 2009 verrà completata la linea AV/AC, perciò la linea storica (anch’essa nel frattempo rinnovata) si ritroverà ad avere tanta capacità da consentire di ampliare la gamma delle offerte. L’incremento del traffico dato, per certo, verrà garantito dalla migliore puntualità, dalla sicurezza, dalla migliore pulizia dei treni e dalla miglior assistenza alla clientela. Il maggior volume di produzione sarà reso possibile dall’ottimizzazione dei processi produttivi. E’previsto, poi, che i ricavi crescano del 62% attraverso la ridefinizione dei contratti di servizio pubblico nei servizi a margine nullo o negativo ed il contemporaneo aumento delle tariffe.
Forte di queste certezze il compilatore del Piano non si è mai posto il problema di come affrontare il mercato, come conquistarlo e quindi gradatamente liberarsi dei sussidi pubblici. Certamente non si conquistano i clienti allungando le percorrenze e contemporaneamente aumentando i prezzi del biglietto e ciò vale per i pendolari come per coloro che si servono del treno per la lunga percorrenza. Ma RFI e Trenitalia, che sono le aziende più importanti del gruppo FS, hanno allungato i tempi di percorrenza dei treni e, sotto il feticcio della sicurezza assoluta della circolazione, hanno appesantito a tal punto le norme regolamentari che, la tecnologia calibrata ad esse ha sclerotizzato buona parte della rete ferroviaria italiana riducendone la potenzialità e annullando i benefici degli investimenti fatti.

Tempo risparmiato in linea, tempo perso nei nodi
Un piano industriale di un’impresa di trasporto dovrebbe puntare sull’incremento del numero dei clienti. Ma, a questo fine, occorre finalizzare buona parte degli investimenti alla drastica riduzione dei tempi di percorrenza di tutti i treni, eliminando le anomalie che impediscono il risultato. Se un treno viaggia a 300 Km/h, per percorrere 180 Km impiega 36’ contro i 54’ occorrenti viaggiando a 200 Km/h: recupera cioè 18’. Ma che senso ha farlo viaggiare nei nodi a meno di 30 Km/h in luogo di almeno 60 Km/h (pur mantenendo inalterato l’indice di sicurezza) quando per percorrere circa 20 Km nei nodi impiega 40’ invece di 20’ vanificando quanto recuperato viaggiando ad alta velocità. Questo è il motivo vero per il quale, nonostante l’attivazione dell’alta velocità tra Roma e Napoli, il treno AV impiega 1h 27’ alla velocità commerciale di 153 Km/h (per inciso l’Arlecchino, treno che poteva viaggiare a 180 Km/h impiegava negli anni ’60 1h 25’ percorrendo la linea storica).
Come in Europa ed in Giappone un treno ad alta velocità deve assicurare una velocità commerciale al di sopra dei 220 Km/h. Cosa farebbero i circa 12.000 viaggiatori che ogni giorno si recano in aereo da Roma a Milano e viceversa, se il tempo di percorrenza del treno fosse di 2h30’? Un treno che viaggia a 300 Km/h consuma una quantità di energia che è almeno sei volte di meno di quella necessaria per effettuare lo stesso tragitto in aereo, con grande risparmio di combustibile e con conseguente riduzione delle emissioni di gas nocivi nell’ambiente.

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