<< Notizia precedente - Clicca qui per chiudere questa finestra - Notizia successiva >>

Data di pubblicazione:28/07/2008
Fonte:La Stampa edizione di Cuneo
Titolo dell’articolo:Il formaggio che parla tedesco
Testo dell’articolo:La geometria rassicurante e monotona delle vigne lascia spazio, chilometro dopo chilometro, alle «poppe» delle colline coperte dai boschi di castagne, querce, gaggie. Così le definiva Cesare Pavese salendo da Santo Stefano Belbo in questi «paesi di scarto perché di notte non passano i treni», come scrisse nel suo romanzo più americano, «Paesi tuoi». Siamo nella Langa Astigiana, in un territorio dove accorrono tedeschi e svizzeri e le capre prendono il posto degli umani. Di turisti italiani, d’estate, neanche l’ombra. La strada si inerpica da Bubbio, dove si vedono ancora i filari di moscato, passa per Monastero Bormida, e offre scorci selvaggi: a metà tra la Toscana e l’Umbria, ma con più dolcezza. Laggiù, oltre i calanchi di marna che degradano verso Savona (distante soltanto 30 chilometri), si intuisce un baluginare azzurro, verso il mare.

Dopo una curva spunta una torre, quella di Vengore, e poi a un chilometro si scorge un paesino da 300 anime sovrastato da un’altra torre in arenaria, edificata dai Marchesi del Carretto nel XII secolo. Natura, storia e buon cibo. E’ Roccaverano, uno dei luoghi del gusto più celebrato tra gli amanti dei formaggi autentici: quelli di capra, rigorosamente a latte crudo, buoni sia freschi (dopo 10 giorni) sia stagionati (dopo 6-7 settimane).

Nel negozio di commestibili-cartoleria-giornalaio del paese si vendono le robiole fresche a 5 euro l’una, per un peso da 200 a 300 grammi. «Nonostante questo periodo sia il migliore per mangiarle, in quanto capre e pecore producono più latte, sono pochi gli italiani che salgono fino ai nostri 800 metri per comprarle», racconta un po’ sconsolato il titolare Giuseppe Zunino. Accanto al bancone c’è una signora che queste formaggette - profumano di fieno e al gusto sono morbide, delicate ma saporite - le produce. Sulla sua etichetta non c’è il marchio Dop (è l’unico formaggio di capra italiano con questo privilegio), perché si è tirata fuori dal Consorzio: «C’era troppa burocrazia: chi le vuole, viene a prendersele da me».

Chissà se la signora Nervi ha ragione. Di certo le Regioni non aiutano né chi sceglie l’agricoltura biologica né chi si adegua alle norme europee. Chi ha salvato la robiola di Roccaverano dal lento declino della speculazione e della globalizzazione, scuote la testa: «Credo che sia giusto rispettare le regole, per tutelare il prodotto e per rispetto dei consumatori». E’ Gian Domenico Negro, enologo e responsabile dal 2000 del presìdio Slow Food che ha lavorato per preservare questa chicca della produzione casearia italiana. «Quando la robiola di Roccaverano fu protetta dalla Doc, nel 1979, per andare incontro alle esigenze industriali si permise che fossero prodotte con l’85 per certo di latte vaccino». Risultato: un formaggio di capra con latte di mucca. Oggi quell’ossimoro del gusto è stato quasi cancellato, con un rilancio voluto dal movimento della chiocciolina e dal Consorzio della Dop, istituita nel 1996. Ora i produttori aderenti sono una trentina, le capre 6 mila e molti giovani, come quelli della Cooperativa La Masca di Roccaverano o di don Roberto Verri, a Serole, sono tornati a vivere, con le capre, sulle «poppe» care a Pavese.

Sono arrivati anche svizzeri e tedeschi, come Simone Stutz, da Zurigo, che produce formaggio, e Carina e Stefan Dietrich, da Düsseldorf. Hanno una quarantina d’anni, in Germania lavoravano in agenzie turistiche e di pubblicità e nel ’99 si sono innamorati di queste colline, fino a comprare un terreno e una casa rurale per aprire un agriturismo, Cascina Grassi, a Bubbio. Spiegano i Dietrich: «Adesso arrivano qui tedeschi, svizzeri, olandesi, inglesi. Pochi italiani, preferiscono andare al mare. E dalla Germania non molti conoscevano il Piemonte come regione turistica. Mi sembra che Torino non abbia saputo sfruttare abbastanza l’occasione delle Olimpiadi. Qualche giorno fa nostri clienti sono stati a Venaria Reale, erano entusiasti: non sospettavano potesse essere così bella...».

Il municipio di Roccaverano, ardita costruzione in vetro e cemento al centro di un paesino di pietra, è uno degli esempi della bruttezza invisibile dell’Italia. Il sindaco Francesco Cirio fa quel che può: «Sì, la robiola è protagonista della nostra economia, organizziamo qualche manifestazione, come il "polentone" di giugno, ma le nostre forze sono limitate». Chi arriva fin quassù, trova soltanto il negozio di Zunino. Se invece ci si ferma 15 km più in basso, a Bubbio, verso Canelli, dalla scorsa settimana esiste un punto assaggio aperto da giovedì a domenica, dalle 10 alle 20: si chiama Bottega della Filanda, offre formaggi e vini della zona. Accanto, ci sono le cantine di affinamento dell’azienda «Arbiora», che in dialetto vuol dire robiola, gestita da Gian Domenico Negro: merita il viaggio vedere la maturazione delle formaggette sotto volte settecentesche climatizzate, ovviamente fatte con latte di pura capra. E ad Alba è stata creata la Torta Arbiora, del Laboratorio di Resistenza Dolciaria condotto da Federico Molinari, a base di nocciola e robiola di Roccaverano. L’importante è che se accorgano anche gli italiani e non soltanto i tedeschi.

<< Notizia precedente - Clicca qui per chiudere questa finestra - Notizia successiva >>




Per visualizzare una news, è sufficiente selezionarne il titolo nel riquadro qui sotto:

Visualizzatore news sviluppato dal Comitato spontaneo Pendolari Bra ed Alba - www.pendolaribra.it - www.pendolaribra.altervista.org - pendolaribra@tiscali.it