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Data di pubblicazione: | 27/01/2009 | |
Fonte: | Il Secolo XIX | |
Titolo dell’articolo: | «In passato siamo già stati costretti a cambiare treno». La protesta dei pendolari della linea Genova-Acqui: «Il materiale ferroviario è sempre più fatiscente» | |
Testo dell’articolo: | Il treno non ce la fa più.La vecchia motrice partita da Genova proprio non ce la fa ad affrontare la salita per inoltrarsi nel Basso Piemonte. E allora che succede?
Il treno si ferma a Borzoli, ne aspetta un altro, in condizioni migliori, nel frattempo partito da Acqui e diretto a Genova, e quando questo a sua volta arriva in stazione viene effettuato lo scambio. I passeggeri diretti in Basso Piemonte salgono sul quello in grado di affrontare la salita, gli altri diretti a Genova prendono quello che proprio non ce la fa più. Morale: il treno 6155 arriva a Brignole con 28 minuti di ritardo, e tutto sommato va ancora bene, il 6152 ad Acqui non ci arriva proprio, si ferma ad Ovada dove entra in stazione con un’ora di ritardo. E perché non completa la corsa, ci si chiederà. Lo spiega Alfio Zorzan, presidente del comitato dei pendolari di Acqui, che era sul treno e che tutti i giorni si batte contro i disservizi delle Ferrovie dello Stato. «Una volta arrivato ad Acqui - racconta - il treno sarebbe dovuto ripartire per Genova. Ma a Ovada aveva già un’ora di ritardo, quindi evidentemente le Ferrovie hanno ritenuto di non fargliene accumulare altro facendolo arrivare fino ad Acqui». A quel punto la nuova partenza per Genova sarebbe stata ulteriormente posticipata e ritardo dopo ritardo... Ma Zorzan non se la prende tanto per lo “scambio” di treni - «È già successo anche se non molto spesso», dice - imputabile ai materiali sempre più fatiscenti utilizzati dalle nostre Ferrovie, quanto per i problemi di comunicazione. «Serve un investimento a livello nazionale, è il governo a dover prendere posizione, non si può scaricare tutto sulle Regioni - aggiunge Zorzan - Il mio motto è “dopo l’Alitalia salviamo Trenitalia”, ma sembra che almeno per ora nessuno ci pensi. Quello che certo è che così non si può più andare avanti». | |
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