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Data di pubblicazione:25/09/2009
Fonte:La Stampa edizione di Torino
Titolo dell’articolo:''Qui a far niente'' Nello scalo merci viaggia lo spreco. A Orbassano tra binari morti e ponti fantasma
Testo dell’articolo:ORBASSANO - «Vinto! Adesso andiamo a mangiare. Visto che numero? Con me non potrai mai farcela». Se la ridono i due ferrovieri imboccando la strada del ristorante, commentando l'ultima mano fortunata. E' da poco passato mezzogiorno: allo scalo intermodale di Orbassano c'e' poco o nulla da fare, se non giocare a carte in un ufficio. «E' cosi', purtroppo. Un tempo trattavamo tremila vagoni al giorno. Oggi appena trecento: in pratica venti o venticinque treni», ammette un macchinista seduto all'ingresso. Un deserto di ferro: 70 fasci di binari per lo piu' inutilizzati. A meno di un chilometro, al di la' di un muro piu' solido della «Cortina di Ferro», c'e' il Sito. Dovrebbe essere un «partner strategico», ma i loro rapporti s'infrangono in una parete prefabbricata. La zona storica, quella del Sito-Sud, non ha accesso diretto alla scalo ferroviario. «Tra noi e loro non c'e' sinergia» , dicono qui. Altro che scambio gomma-rotaia: al Sito funzionano solo i camion con i camionisti stranieri che sostano poco. Eppure, anche qui, nel girone delle merci e della logistica, c'e' un deserto, un monumento allo spreco. E' la dogana. I finanzieri di turno allargano le braccia, consapevoli di non fare quasi nulla. «Nel 1992 smistavamo 500 camion al giorno. Adesso, se va bene, ne controlliamo una quarantina». Il piazzale della dogana e' una distesa desolata di cemento dove scorrazzano conigli selvatici e crescono i pomodori coltivati dagli stessi militari. Ma di merci in transito nemmeno l'ombra. Uno spreco figlio di una «pianificazione» che non aveva previsto la rivoluzione delle frontiere. Quell'Europa sempre piu' grande e senza frontiere disegnata dagli accordi di Schengen. «Adesso sdoganiamo per lo piu' prodotti cinesi, indiani, turchi. Merce destinata a Torino. Poca roba rispetto al passato». Nella zona Nord, dove sorge il Centro Agroalimentare di Torino (ex Mercati generali), c'e' un'altra cartolina delle opportunita' mancate. Non si sa perche', ma c'e' un binario morto che punta diritto al centro e si blocca nel nulla. A venti metri dal perimetro del complesso. C'e' anche un ponte incompiuto. Opere che avrebbero dovuto portare il treno direttamente all'interno del Caat. Questo spaccato di «giganti» isolati e' emerso dalla minuziosa indagine commissionata dal Comune di Rivalta alla societa' Polinomia di Milano. Uno studio che prende in esame le strutture e i flussi di merci che transitano in uno dei piu' importanti snodi commerciali piemontesi. Anzi, il «nodo» per antonomasia, secondo i sostenitori della Torino-Lione. «Abbiamo commissionato questo studio - spiega il sindaco di Rivalta, Amalia Neirotti - per capire il valore strategico dell'area che comprende lo scalo ferroviario, il Sito e il Caat in relazione all'ipotesi Tav. Cio' che e' emerso ci aiutera' ad esprimere la nostra posizione sul progetto dell'alta velocita', partendo da dati concreti». E i dati sono quelli elaborati dall'ingegner Andrea Debernardi, consulente tecnico della Comunita' Montana dell'Osservatorio sulla Tav, esperto di ingegneria dei trasporti. Per conoscere i flussi merci del Sito, si e' dovuto affidare ad una tesi di laurea, perche' non esistono registrazioni aggiornate in tempo reale. Un'anomalia riconosciuta dagli stessi dirigenti. «Essendo una struttura aperta, senza accessi controllati - dice il professionista - non e' possibile fare un "check-in" e un " check-out" delle merci». Ma e' il mito della «sinergia» a sbriciolarsi sotto la dura realta' dei numeri. «Di tutte le merci in ingresso al Sito - afferma Debernardi - solo il 3% proviene dalle rotaie. Mentre in uscita non c'e' un solo grammo destinato alla ferrovia». Conoscere i dati delle ferrovia, invece, e' stata una missione impossibile. «Nonostante tutti i solleciti - ammette - mi sono dovuto affidare ai volumi del 1999. Di ufficiale non c'e' altro». Per rendersi conto di cio' che accade allo scalo, basta soffermarsi qualche ora, parlare con i ferrovieri. L'unica parte in attivita' e' la zona logistica, dove c'e' movimento di merci, ma e' sotto il controllo di operatori privati. La movimentazione
dei convogli, nell'area ferroviaria, e' quasi assente. «E' una struttura obsoleta, organizzata con tecnologie antieconomiche», sentenzia Debernardi nel suo studio. Anzi, uno scalo nato gia' vecchio nei lontani Anni 70.

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